... se la parola non funziona

Eppure, accanto a questi pensatori che danno grande rilievo alla parola e alla comunicazione, assistiamo - nell’esperienza quotidiana – a un fenomeno del tutto opposto: una specie di svalutazione della comunicazione, di sfiducia nella possibilità di comunicare. E’ paradossale che questo avvenga proprio in un momento in cui – mai come prima – l’uomo dispone di tecniche di comunicazione potenti e raffinate. E’ come se la parola avesse perso la sua carica, il suo potere quasi magico di riuscire a <<dire>> qualcosa, a evocare un’idea, a suscitare un sentimento. Ce ne possiamo accorgere dalla frequenza, quasi dal bisogno, con cui sempre più spesso vengono <<inventate>> nuove parole, per cercare di catturare l’attenzione, di rincorrere un significato che le parole <<normali>> non riescono più ad esprimere. Si è così creata una specie di spaccatura  tra il mondo delle parole    – in cui la nostra crede sempre meno – e il mondo dei fatti,e si pensa al primo come a un mondo falso, mentre solo il secondo sarebbe un mondo vero. (<<Fatti... non parole!>>). Tutto questo produce un disagio che potrà essere superato solo se si riuscirà a <<guarire>> la parola da questa malattia e – rendendole la sua capacità di comunicare – a <<rifare pace>> tra le parole e realtà.

Naturalmente in una situazione come questa, la prospettiva biblica, in cui la possibilità di comunicare è fondamentale per la stessa natura dell’uomo, è un po’ fuori moda. Questa prospettiva appare più che la descrizione di come stanno le cose, la descrizione di come Dio vuole che stiano: insomma una specie di meta, di punto di arrivo verso cui – anche se per ragioni diverse – credenti e non credenti camminano.

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