Il complesso monumentale di Santa Maria del Carmine fu voluto da principe di Avellino Camillo Caracciolo agli inizi del secolo XVII. Fu, però, Francesco Marino a curarne, nella seconda metà del secolo successivo, l'abbellimento, come si conveniva a quella che rappresentava ormai a tutti gli effetti la cappella di famiglia, dal momento che custodiva le spoglie mortali dello stesso Camillo e del figlio Marino II. Proprio quest'ultimo appariva riprodotto in un bassorilievo. Il principe, in abiti guerreschi, vi appare inginocchiato con la mano destra sul petto, mentre volge lo sguardo orante verso la Madonna con in braccio il Bambino, cinta tutt'intorno da una corona di nuvole in basso e di cherubini nella parte superiore. Di fronte a lui, anch'egli inginocchiato e in preghiera, un anziano religioso, certamente identificabile con suo fratello Marzio. Si presuppone che quest'opera sia stata realizzata dal Fanzago. I principi provvidero costantemente alle spese per la manutenzione e per l'uso regolare della chiesa. E che la chiesa del Carmine fosse così legata alla famiglia dei principi, dei quali conservò i corpi almeno fino alla metà del secolo scorso, è testimoniato dalla grossa tela dipinta nel 1747 per il soffitto da Michele Ricciardi, allievo di Francesco Solimena, rappresentante "L'incoronazione della Vergine col Principe Caracciolo e la sua corte". Il principe, circondato dai suoi familiari e dai cortigiani, riceve dall'alto la benedizione della Madonna del Carmine. La cessione al Comune dell'intero complesso del Carmine segnò la fine della sua lunga storia. La chiesa, ormai spogliata anche delle tombe dei principi, fu da quel momento regolarmente aperta al culto fino al terremoto del 1980, che la danneggiò gravemente. Scampata alla demolizione, toccata invece al vicino monastero, e sottoposta ad intervento di restauro, oggi è inglobata nel nuovo complesso sorto come sede municipale.